domenica 17 giugno 2012

Un Processo - ElfoMiope


Bonsoir! Come accennato in precedenza, mi trovo sotto molteplici esami. Ciò ha fatto sì che ciò che restava di minimamente coerente nel mio cervello andasse perduto per sempre (o almeno fino a inizio Luglio), e questa storia ne è il tragico risultato.
Sarete contenti adesso, professori. Sarete contenti, di aver creato un'idiota :)

ps: è con rammarico dolorequem che vi annuncio che io ed i miei due altrettantosottoesami compagni abbiamo deciso di sospendere il dueparole fino a quando non saremo certi di esserci tratti in salvo da quella terribile nave naufragante che è l'inizio dell'Estate per gli studenti.

UN PROCESSO    Apologia del Tempo
 “L’assassino è il Tempo, Signor Giudice”, esordì l’accusa, nelle spoglie dell’avvocato Pagliuzzi. Sotto gli occhi del giudice, della giuria e della famiglia del morto, l’allampanato Pagliuzzi camminò con passo teatrale attraverso l’aula, sino a trovarsi di fronte al Tempo; sul banco di quest’ultimo l’avvocato ebbe cura di sbattere con violenza un pesante fascicolo di fogli, causando un gran frastuono. Il Tempo restò impassibile.
“Tutte le prove testimoniano a suo sfavore, tutte le strade portano a lui”, continuò Pagliuzzi, un po’ deluso dall’assenza di reazioni da parte dell’accusato. “Testimoni oculari, tra i quali ho scelto di includere non solo alcuni familiari ma anche l’infermiere e la farmacista che vedevano la nostra vittima tutti i giorni, sono qui pronti a giurare di aver assistito in prima persona  al lento e sadico omicidio perpetrato dal Tempo qui presente ai danni di Giacomo Vegliardi”
“Che parli un testimone, allora”, fece il giudice, sbrigativo. Aveva il raffreddore e nemmeno un processo tanto inusuale poteva risvegliare il suo entusiasmo, al momento. Incurante dell’opinione dei presenti, sciolse nell’acqua due aspirine e le trangugiò.
Intanto alla sua esortazione una donna vestita di grigio si era alzata dal banco dei testimoni: era la farmacista, gestiva il negozio dove il morto (quand’era ancora vivo, s’intende) per quarant’anni si era recato quasi ogni giorno, fino all’ultimo, a comprare quantità industriali di medicine. La donna portava i capelli legati stretti, ed un attento osservatore avrebbe potuto capire che era agitata notando le gocce di sudore che le si formavano sulla nuca.
“Io sono Amanda Cenere, Vostro Onore”, esordì la donna con voce vagamente tremolante. “Ed il signor Vegliardi lo conoscevo bene, per così dire, o almeno lo vedevo praticamente tutti i giorni. Il signore infatti è sempre venuto a comprare le medicine da noi, prima ancora che io iniziassi a lavorare alla farmacia. Sempre vissuto nello stesso posto, sempre gentile, il signor Vegliardi. Pensi che una volta-“, La signora Cenere s’interruppe, bloccata da uno sguardo eloquente dell’avvocato Pagliuzzi. Svelta, cambiò di nuovo argomento: “Insomma, Vostro Onore, tutto è andato sempre bene per il signor Vegliardi, all’apparenza, ma io lo vedevo, che c’era qualcosa che non andava. I capelli, ad esempio:  i suoi capelli diventavano di anno in anno più bianchi, come a testimoniare un grande stress emotivo, o un terribile shock. E il viso, Vostro Onore, il viso! Ogni giorno vi si tracciavano nuovi profondi solchi, che rendevano le sue espressioni sempre più grottesche. E poi, negli ultimi tempi, il signore camminava chino, zoppicante, con grande fatica: pareva che qualcuno lo avesse riempito di bastonate, senza pietà. Infine, un giorno non è più tornato.
Ma io ho capito subito cosa fosse successo e in realtà già l’avevo capito prima che accadesse: il signor Vegliardi è stato ucciso, anzi no, seviziato per anni ed anni, portato lentamente verso una morte snaturata. E non è il primo che vedo finire così, oh no, Vostro Onore, non è il primo! L’ho sempre sospettato, ma solo ora ho il coraggio di dirlo: è il Tempo, l’assassino! È stato lui a tormentare e terrorizzare il povero signor Vegliardi, fino a condurlo alla morte!”. La signora Cenere era parsa sempre più accaldata durante il suo lungo intervento, tanto che la sua incertezza iniziale era svanita senza lasciare traccia. La donna si voltò verso l’accusato dall’altra parte dell’aula, con un fare teatrale che probabilmente aveva attentamente studiato guardando chissà quale telefilm americano.
“Grazie, signora Cenere”, parlò allora Pagliuzzi, mellifluo, poggiando una mano sulla spalla della donna con fare paterno. “Come vedete, Signor Giudice, l’accusa della nostra rispettabile testimone è ben fondata e logica. Siamo tutti consci, infatti, dei terribili poteri che il Tempo ha a disposizione, e di come spesso si risolva ad usarli così, con tale barbarie, sui normali cittadini. Ma ora, Vostro Onore, se permette io chiamerei a parlare un altro testimone, il signor- “.
“Aspetti un attimo, Pagliuzzi”, lo interruppe però il giudice, volgendosi verso il banco dove Tempo stava impassibile. “Voglio ascoltare anche l’altra parte in causa. Tempo, ha portato con lei un legale, a strutturare la difesa?”
“No, Signor Giudice”, fu la prima frase pronunciata da Tempo in tutto il processo, “Parlerò io stesso in mia difesa”.
Tutti erano tesi verso l’accusato, ansiosi di veder cadere infine quello che consideravano il loro oppressore.
“Non mi trovo qui in aula perché sono stato accusato dal signor Pagliuzzi, oggi, né per difendermi da lui. Il buon avvocato segue probabilmente un interesse personale nel convocarmi qui cercando di attuare la mia rovina. Infatti egli teme me più di ogni altra cosa, è terrorizzato dal pensiero di finire come il signor Vegliardi, ogni nuovo capello bianco che si scopre durante le sue lunghe ispezioni allo specchio è per lui fonte di infinito tormento…”
“Irrilevante, Vostro Onore!”, strepitò Pagliuzzi, “Bugie, invenzioni!”
Il giudice riprese il Tempo, intimandogli di attenersi al processo. Questi acconsentì di buon grado.
“Ad ogni modo, Signor Giudice ed esseri umani qui riuniti, io sono tra voi oggi per aprirvi gli occhi. Quando avrò finito di parlare vi sarà chiaro che non io, bensì i vostri compagni terreni sono la causa della vostra fine”. Qui, un mormorio si diffuse nella sala, mentre tutti borbottavano senza capire le parole arcane dell’accusato.
“Sono addolorato per il Signor Vegliardi e per tutti coloro che si trovano a perdere la vita, spesso dopo prolungate sofferenze. Voi mi temete, perché ritenete che il mio scorrere vi porti man mano alla morte. Quasi come se io, da solo, potessi consumarvi lentamente, come se ogni minima frazione di me, ogni mio secondo, mano a mano rompesse irreparabilmente piccoli pezzi del vostro corpo. Come se io, il Tempo, procedendo rubassi tempo a voi. Ma come può il Tempo rubare il tempo? Non sono io che faccio avvizzire la vostra pelle, ‘arrugginire’ i vostri organi. Siete voi stessi, l’utilizzo che voi fate di voi stessi, a far sì che vi decomponiate lentamente. Io da solo non posso nuocervi affatto, ma l’aria che respirate, il cibo che mangiate…tutto fa sì che il vostro corpo imperfetto si stanchi. Come a dire che gli esseri viventi non hanno un limite di tempo, ma di utilizzo.
Io, il Tempo, sono solo un contenitore, l’arena all’interno della quale a voi e ad ogni altro oggetto o essere vivente è data piena libertà.  All’interno del Tempo si svolgono tutte le vicende: microscopiche, macroscopiche e nel vostro caso umane, in un infinito compenetrarsi. È l’attrito tra voi ed ogni altra componente del mondo che vi scalfisce, che vi porta via i pezzi.
Io e lo Spazio, vostri benefattori in quanto condizioni imprescindibili per la vostra esistenza, ci limitiamo a guardare.
L’invecchiare, dunque, a cui pone fine la vostra morte naturale, è frutto semplicemente del vostro continuo interagire con il resto del mondo, che si svolge sì all’interno di me, ma che da me non dipende in alcun modo. Così è stato e così sempre sarà; e se permettete che io qui vi lasci qualcosa su cui riflettere, non c’è niente di orribile nella Morte”.
Così terminò il Tempo il suo lungo discorso, a cui seguì un silenzio gelido. Nessuno dei presenti aveva l’aria di aver apprezzato particolarmente le parole dell’accusato. Pagliuzzi, anzi, colse al volo l’occasione per iniziare nuovamente a protestare, il suo tipico tono mellifluo gettato alle ortiche, e ben presto a lui si unì l’aula intera. Nel trambusto che seguì, tra gente che si alzava e agitava i pugni, il Tempo esasperato decise di girare i tacchi (o qualunque cosa il Tempo indossi al posto dei tacchi) ed andarsene. Sospirando, stropicciandosi le tempie con una mano, la sua figura impallidì progressivamente sino a sparire, e tanta era l’agitazione dei presenti che nessuno se ne accorse.
Solo il giudice, confuso, dovette ripensare a quel momento in particolare, perché gli parve distintamente di udire la voce gentile del Tempo sussurrargli in un orecchio: “La Morte non sarà male, amico mio, ma lascia che ti dia un consiglio: vacci piano con le aspirine”.


Marghe/ElfoMiope

4 commenti:

  1. Bello questo tuo racconto! A me è piaciuta la morale e anche lo stile è fresco e ineressante. Si vede che è tuo, insomma... è già il terzo tuo racconto che leggo e non resto mai delusa (su questo blog è il primo che commento, credo). Mi dispiace che questo blog chiuda momentaneamente, ma sono studentessa anch'io dunque ti capisco, anzi, ti capisco benissimo!

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    1. Grasssie! Sono felice che il racconto sia piaciuto anche se un po' vago. Purtroppo in questi giorni mi trovo più o meno in stato di coscienza alterata D:

      In quanto all'interruzione del blog... ahimè!

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