venerdì 8 giugno 2012

L'artista - ElfoMiope


          Bene. è meglio che io non commenti il significato di questa storia, che penso si possa intuire comunque :)

                                                               L'artista

C’era una volta un grande Re. Questo Re, non essendo mai stato costretto ad entrare in guerra contro un qualche altro sovrano dei paesi vicini, si trovava costantemente a disporre di molto tempo libero. Per colmare dunque le sue lunghe giornate, aveva invitato ad abitare nel proprio castello decine e decine di artisti: v’erano, in quelle stanze di pietra, musici straordinari dalle voci simili al cinguettare degli uccelli, giullari i cui giochi facevano tremare l’intero castello per le risate degli spettatori, maghi capaci di stupire il più scettico degli alchimisti con migliaia di trucchi incredibili.
Eppure, il favorito del Re restava Aloisio.
Aloisio era un pittore, ma uno di straordinaria bravura. Da tutto il regno erano venuti  a sfidarlo, per guadagnarsi un posto alla corte del Re; eppure, nessuno era nemmeno riuscito ad avvicinarsi al suo genio.
I dipinti di Aloisio infatti sembravano magici: raffiguravano scenari meravigliosi e terre mai viste, tanto che in essi pareva potersi riflettere tutto il mondo che certamente si trovava racchiuso nella testa del pittore. Egli rendeva possibile l’impossibile: con una pennellata, nascevano le montagne. Un colpo di spatola, e uno zigomo si stagliava fiero su di un volto. E Aloisio, sebbene non ne facesse parola con il Re (infatti non credeva che qualcun altro, che non fosse lui stesso, potesse essere in grado di comprendere appieno la sua interiorità), assegnava ad ogni singolo tratto un significato. Nulla, per lui, era casuale. Sicuramente era questo che rendeva i suoi dipinti così straordinari: v’erano in essi infiniti significati nascosti, complessi ragionamenti che si traducevano, con un processo totalmente spontaneo, in immagini fantastiche. Impossibile non intuirlo, nonostante il pittore non fosse prodigo di spiegazioni.
In poche parole, l’arte di Aloisio faceva faville a corte ed il Re lo stimava e lo considerava un grande amico.
Fino al giorno in cui l’artista fece il suo ingresso nel castello.
L’artista era un uomo di mezz’età, benestante. Fin dalla prima volta in cui mise piede sul tappeto rosso del Re, gli occhi di tutti erano per lui. Emanava, dal suo sguardo, una sorta di aura di intelligenza, di sicurezza, con una dose di prepotenza che lasciò tutti a bocca aperta. Ad una guardia all’ingresso si spalancò addirittura l’elmo, con indubbio effetto cinematografico, rivelando uno sguardo imbambolato fisso su quello strano figuro.
L’artista si portò a grandi passi verso la lunga tavola imbandita dove il Re sedeva con Aloisio, immerso in una animata ma amichevole discussione. Quando fu giunto di fronte al sovrano, si esibì in un impercettibile inchino e con voce alta e sicura pronunciò queste parole:
“Vostra Maestà, mi presento: io sono Ambrogio Martino Secondo, e sono stato condotto fino a voi dal desiderio di diventare l'artista di corte”.
Il Re smise di parlare e volse lo sguardo sul nuovo arrivato.
“Ma io ho già un artista di corte, mio buon Ambrogio Paolino: è seduto ora al mio fianco. Dubito fortemente che tu possa anche solo avvicinarti, con la tua arte, alla sua magnificenza”.
Allora Aloisio non poté esimersi dall’entrare nella conversazione:
“Non siate precipitoso, mio Re”, esordì con modestia, “di artisti migliori di me sicuramente ne son nati e ancora ne nasceranno. Perché non mostrate al nostro Signore ciò di cui siete capace, Messer Ambrogio? Di sicuro avrete portato con voi uno o più esemplari del vostro lavoro”.
Allora l’artista, con grande stupore di tutti, avanzò di qualche passo e sputò nel piatto del Re. Poi, sotto gli sguardi attoniti della corte intera, raccolse il piatto e lo mostrò, alzandolo alto sopra la testa.
“Questa è la mia arte, mio Re!”, gridò; e come furioso scagliò il piatto in terra. Mille pezzi di terracotta volarono in tutte le direzioni.
Tutti i presenti fissavano l’artista ed i cocci, senza parole. Aloisio solo rideva esilarato, rompendo l’esterrefatto silenzio.
Infine, dopo quelle che parvero ore nell'atmosfera paralizzata della sala, il Re si alzò e parlò, balbettando:
“Ma… ma questo è oltraggioso, sì, oltraggioso… io, io ti chiedo perché l’hai fatto, e e ti ordino di rispondermi!”. Mai prima si era udito Re parlare con tono più incerto e minor convinzione.
“L’ho fatto, mio Re, per meravigliarvi", fu la risposta di Ambrogio, il quale esibiva ora un enigmatico sorrisetto, "Non è forse questo che fa il vostro artista di corte tutti i giorni, Sire, meravigliarvi? Io posso farlo anche ogni minuto, se me lo concederete. Vi garantisco che non conoscerete più la noia, con me”.
Aloisio smise finalmente di ridere: “Ma questo è inaudito, mio Re! Meravigliarvi? Ogni cosa può meravigliarvi, se glielo concedete, poichè ogni cosa è meravigliosa! Ogni suono, ogni odore… ma io cerco ogni giorno di farvi sognare con me, Sire, di portarvi con me nei miei infiniti viaggi della mente, mostrandovi cose che non si trovano da alcun'altra parte. Io voglio comprendere e imparare con voi, mio Re, non compiere gesti criptici volti solo ad un vile meravigliare, che invero meravigliare non è!”
Eppure il Re sembrava come sotto l’effetto di un incantesimo. “Mio buon Aloisio, amico mio”, iniziò, pensieroso, “non essere precipitoso, suvvia. Non vedi quanto sia nuovo ciò che il buon Ambrogio, qui, ha creato? Non provi anche tu un grande sconvolgimento? Nessuno, nessuno, si era mai comportato così in mia presenza. Eppure io non percepisco insulto alcuno! Vorrei, vorrei vedere altre cose di questo genere, comprenderne l’origine.” Qui sembrò riflettere per un secondo. “Ma sì, per Dio, c’è posto per più di un artista qui a corte! Ambrogio, fatemi l’onore di rimanere con noi, vi prego, meravigliatemi ancora.”
Aloisio era sconvolto, Ambrogio Martino raggiante; e tutta la corte annuiva con convinzione alle parole del Re, tutti volevano che l’artista li meravigliasse ancora e ancora.
Quello fu il giorno in cui iniziò il tramonto di Aloisio. Nessuno, adesso, sembrava più voler vedere le sue opere, passare del tempo a scoprire tutti i particolari e le minuzie dietro alle quali si celavano tante idee e tanti segreti. Il grande salone di pietra era diventato il regno di Ambrogio, ora, il regno delle sue folli trovate. Non passava giorno che l’artista non si rotolasse per terra, o prendesse una dama a capocciate, o leccasse un orecchio a qualcuno. Faceva tutto parte della sua opera d’arte, diceva.
E le opere di Aloisio, sole, rattrappivano.


Marghe/ElfoMiope

3 commenti:

  1. Mellonamin!!!!!
    amico solo tu potevi scrivere una frase sull'artistica arte! eri il più autorizzato di tutti!poveropoveropovero aloisio!! amico le sue opere! amico anche la tua storia guadagna millemila punti per la sola presenza di un castello, una corte e un RE!!!
    apparte ciò me piace la descrizione dei dipinti di aloisio!!
    balla ei nonna nembutal!

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  2. chi farà oplà sui bizzarri arbusti potati??
    AHIMè, AHIMEMI, povero aloisio! :) almeno lui sa di essere fico. secondo me, se hai la consapevolezza di essere fico stai apposto (come sono profondi, i miei commenti...)

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  3. solo storie tristone per arte e meraviglia!!

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