Una strana storia sulle parole arte e meraviglia.
La cella puzzava di umido
e muffa. Un debole filo di luce passava attraverso una grata sulla parete,
illuminando l'ambiente. L'uomo, rannicchiato in un angolo, osservava la lenta danza
dei corpuscoli di polvere che svolazzavano sotto la luce, senza tuttavia
vederla davvero. Era un tipo massiccio dalla folta barba incolta, segno del
fatto che si trovava in quel luogo da un tempo sufficientemente lungo, ma non
eccessivo visto che sembrava ancora in forze. I vestiti erano stracciati e sul
corpo portava segni di violenze, lividi e tagli più o meno recenti, dei quali
però non sembrava nemmeno accorgersi come se in vita sua avesse subito di
peggio. Ad ogni modo, il prigioniero nella cella in quel momento non se ne
sarebbe comunque curato, poichè per la prima volta nel corso della sua lunga
esistenza stava riflettendo.
Ascoltando
le ritmiche pulsazioni del suo cuore, osservava con un senso di crescente
meraviglia i pensieri prendere forma nella sua mente, liberi, ma soprattutto
suoi. Fuori da quella cella e in un'altra vita, era stato un soldato e i
soldati hanno l'ordine di non pensare, ma solo di obbedire.
Era
così assorto da non rendersi conto del forte formicolio che partendo dai piedi
si stava espandendo in tutto il corpo, un atto di ribellione delle sue membra
per essere state costrette tanto a lungo in una scomoda posizione. Non vedeva
più nemmeno i topi che squittendo giravano per la cella e che in un altro
momento avrebbe cercato di catturare. Ciò che invece scorreva dietro ai suoi
occhi erano le immagini della sua vita passata.
Lui
era stato il migliore, il più grande spadaccino che il mondo avesse mai visto.
Non solo grazie alla forza che madre natura gli aveva dato, ma anche grazie al
duro addestramento che si era imposto: la sua parola d'ordine era stata
disciplina. Altrimenti, come avrebbe potuto arrivare fin dove era arrivato? Come
avrebbe potuto un semplice ragazzino di campagna scalare i vertici
dell'esercito e diventare il generale supremo? Per un istante si rivide a
sedici anni, con un sacco di tela in spalla e quattro stracci addosso, mentre
varcava sotto gli occhi vigili delle guardie il grande cancello di Tharia, la
capitale dell'Impero. Risentì le voci della folla accanto a lui e gli odori della
città, un misto di tanfo e profumi che lo aveva stordito. Ricordò come si era diretto subito alla
caserma e si era arruolato, guardando negli occhi gli ufficiali sfidandoli a
fermarlo. Nessuno l'aveva fatto, perchè a quel tempo avevano bisogno di
chiunque fosse disposto ad entrare nell'esercito. La guerra aveva già falciato
innumerevoli vite e c'era sempre bisogno di carne fresca da mandare al macello.
Per qualche mese l'avevano allenato e lui aveva mostrato a tutti le sue
abilità: non c'era una sola arma che non riuscisse ad usare al meglio, non
c'era tecnica che non apprendesse e lentamente iniziò a scoprire di essere più
abile di molti degli ufficiali. Non seppe mai se fu per invidia o per necessità
che lo inviarono in battagia prima di tutte le altre reclute, sta di fatto che
pochi mesi dopo il suo arrivo in città si trovò armato di tutto punto schierato
in mezzo alla fanteria a caricare l'esercito nemico. E fu quello il momento che
cambiò la sua vita.
Nel
mezzo delle grida, fra il furore e la paura che facevano muovere l'esercito
schierato come un sol uomo, un istante prima che i due schieramenti cozzassero
con un fragore assordante, lo vide. Vide la sua prima vittima, un uomo più
grande di lui che impugnava una lunga lancia e che correva dritto incontro. Risentì la scarica elettrica che gli era corsa lungo la schiena, ma ancor
di più rivide gli occhi del suo avversario, colmi di rabbia e di dolore. Una rabbia
che tuttavia non sembrava diretta verso il nemico, bensì verso sè stesso, come
se si odiasse per il fatto di trovarsi lì, impugnando quella maledettissima
lancia, costretto a uccidere. L'ira dell'uomo sapeva di terra bruciata, di una
casa perduta, di racconti davanti al camino: era la furia di colui che che cerca
la morte.
Con
un movimento fluido, il ragazzo piantò la lancia nel petto dell'uomo e senza
mai smettere di guardarlo negli occhi, gli sembrò che l'avesse sollevato da un
grande peso. Durante quello scontro uccise molti altri uomini, sempre cercando
di scrutare nei recessi del loro animo. E uccise ognuno di loro nel modo in cui
essi sembravano chiedergli di farlo perchè se proprio dovevano morire, era giusto che se ne andassero a modo loro.
Combattè
innumerevoli battaglie dopo di quella e il suo modo di uccidere divenne
un'arte. Che si mostrasse pietoso o crudele le sue vittime cadevano quasi con
un sorriso e fu così che da soldato divenne ufficiale, da ufficiale sergente
fino a ritrovarsi generale supremo dell'esercito imperiale.
Per
lunghi anni servì fedelmente l'imperatore e così continuò a fare quando salì al
trono suo figlio. Non era importante domandarsi che persona fosse e nemmeno se
gli ordini che gli impartiva fossero giusti o no. Semplicemente dovevano essere
eseguiti nel migliore dei modi. E se i provvedimenti del sovrano causavano
malcontento nella popolazione, lui doveva essere il primo a difendere il potere
imperiale soffocando le ribellioni che iniziavano a nascere in tutto l'impero. Ma
benchè il suo talento e le sue capacità fossero grandi, nulla potè contro il
tradimento di alcuni dei suoi uomini che fecero entrare in città l'esercito dei
ribelli, aprendo loro le porte.
Lui
era riuscito a salvare l'imperatore, ma era stato catturato dai ribelli. Lo
avevano gettato in quella cella e torturato nel tentativo di estorcergli ciò
che sapeva. Non aveva parlato e di tanto in tanto aveva visto al fianco dei
suoi torturatori qualcuno di coloro che lo avevano tradito che tuttavia non
aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
E l'indomani
sarebbero venuti a prenderlo per condurlo al patibolo.
Un
sorriso stanco apparve sul volto del prigioniero. La cosa più strana era che
nonostante tutto ciò che aveva fatto e che gli era successo, non riusciva a
provare nulla: nè rabbia, nè dolore, nè desiderio di vendetta. E nell'arco di
tutta la sua vita, non aveva mai sentito nulla. Solo nel momento in cui
uccideva provava qualcosa: si sentiva utile. Aveva l'impressione di compiere
qualcosa di necessario, non per sè stesso, ma per gli altri. Coloro che aveva
passato a fil di spada, gli erano sempre sembrati desiderosi di smettere di vivere
e ciò che aveva fatto era stato accontentarli. La sua in effetti, non era stata
un'arte di uccidere, bensì un'arte della misericordia secondo il suo punto di
vista.
Ma
non aveva nemmeno provato a spiegarlo ai suoi carcerieri, non avrebbero capito.
Nemmeno lui stesso si capiva completamente, del resto. Non rimaneva che una
sola cosa da fare.
Ignorando
le proteste dei suoi muscoli anchilosati, il prigioniero si alzò in piedi e
raggiunse la porta della cella.
"Guardia!"
esclamò con la voce arrochita dalla sete e dal poco uso.
Con
una mano battè sulla porta e chiamò nuovamente.
"Cosa
vuoi, bastardo?" rispose una voce dall'esterno. Nonostante le dure parole,
il tono della giovane voce era titubante, come se colui che aveva parlato fosse
in preda ad una lotta interiore.
Il
prigioniero riconobbe la persona che aveva parlato e tirò un sospiro di sollievo. Era uno di quelli
che lo avevano tradito: forse avrebbe accettato di fare ciò che gli avrebbe
chiesto, se avesse fatto leva sul suo senso di colpa.
"Guardia,
ho un ultimo desiderio." Rispose con voce affannosa e stanca
"L'ultimo desiderio di un condannato."
Ci
fu un attimo di silenzio, in cui avvertì l'indecisione della guardia che infine
rispose:
"Parla.
Se possibile sarai accontentato."
Il
prigioniero si appoggiò alla porta cercando di non scivolare a terra.
"Vorrei..."
disse con voce fioca "Vorrei che mi fosse concesso di radermi: domani ci
sarà la mia esecuzione e preferirei morire da soldato. E nessun soldato, in
nessun momento della sua vita ha la barba lunga."
Incrociò
le dita e attese la risposta della guardia.
"Mi
chiedi di darti una lama con la quale potresti ucciderci quando verremo a
prenderti domani, mi credi forse così sciocco?"
"No,
nient'affatto. So bene che non sei uno sciocco soldato Smithwick." Il prigioniero
si godette l'effetto che le sue parole avevano avuto sulla guardia. Sapeva che
il ragazzo era trasalito, non si sarebbe mai aspettato di essere riconosciuto. "Ti
do la mia parola d'onore che domani, quando verrete a prendermi, non vi verrà
torto un capello. Sai che non ho mai tradito la parola data. Ti chiedo solo un
rasoio e uno specchio, ti prego."
Pronunciò
l'ultima parte della frase con tale intensità da stupire perfino sè stesso.
Trascorsero
lunghi attimi in cui non ci fu risposta, poi il giovane rispose in un sussuro:
"Non
volevo che succedesse questo, generale. Non volevo tradirvi! Posso portarvi
fuori da qui, ma vi prego perdonatemi!"
Il giovane sembrava sull'orlo delle lacrime,
ma il prigioniero lo azzittì.
"Se
vuoi davvero aiutarmi e farti perdonare, dammi ciò che ti ho chiesto. Ti
prometto che andrà tutto bene."
"Agli
ordini, generale!" disse la giovane guardia con voce rotta e si allontanò
lungo il corridoio.
Ascoltando
il suono dei passi che si affievoliva, il generale si lasciò cadere in terra,
sollevato. Era fatta, ci era riuscito. Ora non doveva fare altro che aspettare.
Dopo
quello che al prigioniero sembrò un tempo infinito, il ragazzo tornò e facendo
scorrere lo sportellino che usavano per passargli il cibo, fece scivolare nella
cella il rasoio e un malridotto frammento di specchio.
Non
appena fu certo che il giovane si fosse allontanato, prese specchio e rasoio e
si mise seduto nel punto più luminoso della cella: per quello che stava per
fare, aveva bisogno di vedere chiaramente. Tenendo in una mano il rasoio e
nell'altra lo specchio osservò il riflesso dei suoi occhi: un volto stanco e segnato gli ricambiò un pallido sorriso. Ora sapeva, non gli serviva altro. Con un sorriso
sulle labbra, e un gesto fluido del braccio, si tagliò la gola.
Per la prima ed ultima volta nella sua vita, aveva agito di testa sua. Un fiotto di sangue uscì dalle sue labbra, congelando in eterno il suo sorriso.
Cami/Bradipo
amico non so se te lo aspettavi, ma ti dirò che le storie in cui le persone si picchiano con le spade guadagnano automaticamente 100 punti sulla scala della Bbellità (disse il pacifista al pacifista...).
RispondiEliminaquindi ti dirò che mi è piaciuta un sacco, per questo e per altri motivi, come ad esempio che la narrazione è piena di azione e si svolge su diversi piani temporali e ci sta la SASPENS e e e etcetera!
e poi c'era un frase che mi era piaciuta tantissimo, aspetta che la trovo...ECCOLA: "L'ira dell'uomo sapeva di terra bruciata, di una casa perduta, di racconti davanti al camino: era la furia di colui che che cerca la morte". L'ira che SA di qualcosa... vovvvv :)
bravo amicoammè, mellonamin (che è ESATTAMENTE la traduzione di amicoammè: gli elfi dicono letteralmente amicoammè! ma quanto li ami?)
Amico ho ritenuto opportuno scrivere qualcosa di semifantasy, perchè un omino con le orecchie a punta nel mio cervello continuava a dire "scriviunfantasyscriviunfantasy" e l'ho accontentato! Amico soffelice che ti piaccia!! MELLONAMIN che potrebbe anche essere tradotto come "melonami", trasformami in un melone!!!
RispondiEliminaAndiamo a vedere gli elfi, padron frodo?