venerdì 8 giugno 2012

L'arte della guerra


Una strana storia sulle parole arte e meraviglia.

La cella puzzava di umido e muffa. Un debole filo di luce passava attraverso una grata sulla parete, illuminando l'ambiente. L'uomo, rannicchiato in un angolo, osservava la lenta danza dei corpuscoli di polvere che svolazzavano sotto la luce, senza tuttavia vederla davvero. Era un tipo massiccio dalla folta barba incolta, segno del fatto che si trovava in quel luogo da un tempo sufficientemente lungo, ma non eccessivo visto che sembrava ancora in forze. I vestiti erano stracciati e sul corpo portava segni di violenze, lividi e tagli più o meno recenti, dei quali però non sembrava nemmeno accorgersi come se in vita sua avesse subito di peggio. Ad ogni modo, il prigioniero nella cella in quel momento non se ne sarebbe comunque curato, poichè per la prima volta nel corso della sua lunga esistenza stava riflettendo.
Ascoltando le ritmiche pulsazioni del suo cuore, osservava con un senso di crescente meraviglia i pensieri prendere forma nella sua mente, liberi, ma soprattutto suoi. Fuori da quella cella e in un'altra vita, era stato un soldato e i soldati hanno l'ordine di non pensare, ma solo di obbedire.
Era così assorto da non rendersi conto del forte formicolio che partendo dai piedi si stava espandendo in tutto il corpo, un atto di ribellione delle sue membra per essere state costrette tanto a lungo in una scomoda posizione. Non vedeva più nemmeno i topi che squittendo giravano per la cella e che in un altro momento avrebbe cercato di catturare. Ciò che invece scorreva dietro ai suoi occhi erano le immagini della sua vita passata.
Lui era stato il migliore, il più grande spadaccino che il mondo avesse mai visto. Non solo grazie alla forza che madre natura gli aveva dato, ma anche grazie al duro addestramento che si era imposto: la sua parola d'ordine era stata disciplina. Altrimenti, come avrebbe potuto arrivare fin dove era arrivato? Come avrebbe potuto un semplice ragazzino di campagna scalare i vertici dell'esercito e diventare il generale supremo? Per un istante si rivide a sedici anni, con un sacco di tela in spalla e quattro stracci addosso, mentre varcava sotto gli occhi vigili delle guardie il grande cancello di Tharia, la capitale dell'Impero. Risentì le voci della folla accanto a lui e gli odori della città, un misto di tanfo e profumi che lo aveva stordito.  Ricordò come si era diretto subito alla caserma e si era arruolato, guardando negli occhi gli ufficiali sfidandoli a fermarlo. Nessuno l'aveva fatto, perchè a quel tempo avevano bisogno di chiunque fosse disposto ad entrare nell'esercito. La guerra aveva già falciato innumerevoli vite e c'era sempre bisogno di carne fresca da mandare al macello. Per qualche mese l'avevano allenato e lui aveva mostrato a tutti le sue abilità: non c'era una sola arma che non riuscisse ad usare al meglio, non c'era tecnica che non apprendesse e lentamente iniziò a scoprire di essere più abile di molti degli ufficiali. Non seppe mai se fu per invidia o per necessità che lo inviarono in battagia prima di tutte le altre reclute, sta di fatto che pochi mesi dopo il suo arrivo in città si trovò armato di tutto punto schierato in mezzo alla fanteria a caricare l'esercito nemico. E fu quello il momento che cambiò la sua vita.
Nel mezzo delle grida, fra il furore e la paura che facevano muovere l'esercito schierato come un sol uomo, un istante prima che i due schieramenti cozzassero con un fragore assordante, lo vide. Vide la sua prima vittima, un uomo più grande di lui che impugnava una lunga lancia e che correva dritto incontro. Risentì la scarica elettrica che gli era corsa lungo la schiena, ma ancor di più rivide gli occhi del suo avversario, colmi di rabbia e di dolore. Una rabbia che tuttavia non sembrava diretta verso il nemico, bensì verso sè stesso, come se si odiasse per il fatto di trovarsi lì, impugnando quella maledettissima lancia, costretto a uccidere. L'ira dell'uomo sapeva di terra bruciata, di una casa perduta, di racconti davanti al camino: era la furia di colui che che cerca la morte.
Con un movimento fluido, il ragazzo piantò la lancia nel petto dell'uomo e senza mai smettere di guardarlo negli occhi, gli sembrò che l'avesse sollevato da un grande peso. Durante quello scontro uccise molti altri uomini, sempre cercando di scrutare nei recessi del loro animo. E uccise ognuno di loro nel modo in cui essi sembravano chiedergli di farlo perchè se proprio dovevano morire, era giusto che se ne andassero a modo loro.  
Combattè innumerevoli battaglie dopo di quella e il suo modo di uccidere divenne un'arte. Che si mostrasse pietoso o crudele le sue vittime cadevano quasi con un sorriso e fu così che da soldato divenne ufficiale, da ufficiale sergente fino a ritrovarsi generale supremo dell'esercito imperiale.
Per lunghi anni servì fedelmente l'imperatore e così continuò a fare quando salì al trono suo figlio. Non era importante domandarsi che persona fosse e nemmeno se gli ordini che gli impartiva fossero giusti o no. Semplicemente dovevano essere eseguiti nel migliore dei modi. E se i provvedimenti del sovrano causavano malcontento nella popolazione, lui doveva essere il primo a difendere il potere imperiale soffocando le ribellioni che iniziavano a nascere in tutto l'impero. Ma benchè il suo talento e le sue capacità fossero grandi, nulla potè contro il tradimento di alcuni dei suoi uomini che fecero entrare in città l'esercito dei ribelli, aprendo loro le porte.
Lui era riuscito a salvare l'imperatore, ma era stato catturato dai ribelli. Lo avevano gettato in quella cella e torturato nel tentativo di estorcergli ciò che sapeva. Non aveva parlato e di tanto in tanto aveva visto al fianco dei suoi torturatori qualcuno di coloro che lo avevano tradito che tuttavia non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
E l'indomani sarebbero venuti a prenderlo per condurlo al patibolo.
Un sorriso stanco apparve sul volto del prigioniero. La cosa più strana era che nonostante tutto ciò che aveva fatto e che gli era successo, non riusciva a provare nulla: nè rabbia, nè dolore, nè desiderio di vendetta. E nell'arco di tutta la sua vita, non aveva mai sentito nulla. Solo nel momento in cui uccideva provava qualcosa: si sentiva utile. Aveva l'impressione di compiere qualcosa di necessario, non per sè stesso, ma per gli altri. Coloro che aveva passato a fil di spada, gli erano sempre sembrati desiderosi di smettere di vivere e ciò che aveva fatto era stato accontentarli. La sua in effetti, non era stata un'arte di uccidere, bensì un'arte della misericordia secondo il suo punto di vista.
Ma non aveva nemmeno provato a spiegarlo ai suoi carcerieri, non avrebbero capito. Nemmeno lui stesso si capiva completamente, del resto. Non rimaneva che una sola cosa da fare.
Ignorando le proteste dei suoi muscoli anchilosati, il prigioniero si alzò in piedi e raggiunse la porta della cella.
"Guardia!" esclamò con la voce arrochita dalla sete e dal poco uso.
Con una mano battè sulla porta e chiamò nuovamente.
"Cosa vuoi, bastardo?" rispose una voce dall'esterno. Nonostante le dure parole, il tono della giovane voce era titubante, come se colui che aveva parlato fosse in preda ad una lotta interiore.
Il prigioniero riconobbe la persona che aveva parlato e tirò un sospiro di sollievo. Era uno di quelli che lo avevano tradito: forse avrebbe accettato di fare ciò che gli avrebbe chiesto, se avesse fatto leva sul suo senso di colpa.
"Guardia, ho un ultimo desiderio." Rispose con voce affannosa e stanca "L'ultimo desiderio di un condannato."
Ci fu un attimo di silenzio, in cui avvertì l'indecisione della guardia che infine rispose:
"Parla. Se possibile sarai accontentato."
Il prigioniero si appoggiò alla porta cercando di non scivolare a terra.
"Vorrei..." disse con voce fioca "Vorrei che mi fosse concesso di radermi: domani ci sarà la mia esecuzione e preferirei morire da soldato. E nessun soldato, in nessun momento della sua vita ha la barba lunga."
Incrociò le dita e attese la risposta della guardia.
"Mi chiedi di darti una lama con la quale potresti ucciderci quando verremo a prenderti domani, mi credi forse così sciocco?"
"No, nient'affatto. So bene che non sei uno sciocco soldato Smithwick." Il prigioniero si godette l'effetto che le sue parole avevano avuto sulla guardia. Sapeva che il ragazzo era trasalito, non si sarebbe mai aspettato di essere riconosciuto. "Ti do la mia parola d'onore che domani, quando verrete a prendermi, non vi verrà torto un capello. Sai che non ho mai tradito la parola data. Ti chiedo solo un rasoio e uno specchio, ti prego."
Pronunciò l'ultima parte della frase con tale intensità da stupire perfino sè stesso.
Trascorsero lunghi attimi in cui non ci fu risposta, poi il giovane rispose in un sussuro:
"Non volevo che succedesse questo, generale. Non volevo tradirvi! Posso portarvi fuori da qui, ma vi prego perdonatemi!"
 Il giovane sembrava sull'orlo delle lacrime, ma il prigioniero lo azzittì.
"Se vuoi davvero aiutarmi e farti perdonare, dammi ciò che ti ho chiesto. Ti prometto che andrà tutto bene."
"Agli ordini, generale!" disse la giovane guardia con voce rotta e si allontanò lungo il corridoio.
Ascoltando il suono dei passi che si affievoliva, il generale si lasciò cadere in terra, sollevato. Era fatta, ci era riuscito. Ora non doveva fare altro che aspettare.
Dopo quello che al prigioniero sembrò un tempo infinito, il ragazzo tornò e facendo scorrere lo sportellino che usavano per passargli il cibo, fece scivolare nella cella il rasoio e un malridotto frammento di specchio.
Non appena fu certo che il giovane si fosse allontanato, prese specchio e rasoio e si mise seduto nel punto più luminoso della cella: per quello che stava per fare, aveva bisogno di vedere chiaramente. Tenendo in una mano il rasoio e nell'altra lo specchio osservò il riflesso dei suoi occhi: un volto stanco e segnato gli ricambiò un pallido sorriso. Ora sapeva, non gli serviva altro. Con un sorriso sulle labbra, e un gesto fluido del braccio, si tagliò la gola.
Per la prima ed ultima volta nella sua vita, aveva agito di testa sua. Un fiotto di sangue uscì dalle sue labbra, congelando in eterno il suo sorriso.

Cami/Bradipo

2 commenti:

  1. amico non so se te lo aspettavi, ma ti dirò che le storie in cui le persone si picchiano con le spade guadagnano automaticamente 100 punti sulla scala della Bbellità (disse il pacifista al pacifista...).
    quindi ti dirò che mi è piaciuta un sacco, per questo e per altri motivi, come ad esempio che la narrazione è piena di azione e si svolge su diversi piani temporali e ci sta la SASPENS e e e etcetera!
    e poi c'era un frase che mi era piaciuta tantissimo, aspetta che la trovo...ECCOLA: "L'ira dell'uomo sapeva di terra bruciata, di una casa perduta, di racconti davanti al camino: era la furia di colui che che cerca la morte". L'ira che SA di qualcosa... vovvvv :)
    bravo amicoammè, mellonamin (che è ESATTAMENTE la traduzione di amicoammè: gli elfi dicono letteralmente amicoammè! ma quanto li ami?)

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  2. Amico ho ritenuto opportuno scrivere qualcosa di semifantasy, perchè un omino con le orecchie a punta nel mio cervello continuava a dire "scriviunfantasyscriviunfantasy" e l'ho accontentato! Amico soffelice che ti piaccia!! MELLONAMIN che potrebbe anche essere tradotto come "melonami", trasformami in un melone!!!
    Andiamo a vedere gli elfi, padron frodo?

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