Buona lettura!
Il gufo e la morte
Bruno era disteso sul letto, attendendo ormai la morte. Era stato un illustre politico, attualmente in carica di senatore a vita nel suo paese. Tanti anni di fatiche lo avevano ingobbito e la sua corporatura si era pian piano deperita. Era stato soprannominato “il gufo” per svariate ragioni: il suo attaccamento al denaro lo portava a sfregarsi spesso le mani unendole verso il petto, mossa che lo faceva assomigliare ad un gufo appollaiato su un ramo; il suo essere subdolo e manipolatore lo faceva agire soprattutto di notte; ed infine a causa dei suoi occhiali grandi e spessi.
Mentre era steso ripensava alla sua vita, sempre segnata
dalla cupidigia e dell’avarizia. Pensava che non c’era nulla di male nell’aver
intascato parecchi soldi pubblici mentre altri morivano di fame, peggio per
loro che avevano fatto una scelta di vita sbagliata. Pensava che non c’era
niente di male nell’aver accettato bustarelle per far vincere appalti o per
bocciare o far approvare una
legge, tanto lui poteva fare ciò che voleva, era al di sopra della legge.
Ed ora era steso lì in attesa. Sì, Bruno sapeva che la nera
signora sarebbe arrivata presto e l’attendeva, ma non con rassegnazione: egli
voleva sfidarla per restare in vita ancora. Era infatti troppo legato ai beni
che la carriera politica gli aveva concesso e voleva goderne ancora,
specialmente in un periodo come quello della crisi economica, in cui molti
stentavano ad andare avanti, ed osservare la gente arrancare, avendo egli
denaro e potere, lo faceva star bene.
Stava per assopirsi quando un vento gelido entrò nella
stanza oscurandone le luci.
Capì che il momento era arrivato e si sedette in attesa
della sua nemica.
Dal buio più profondo emerse una figura slanciata e nera dal
volto scarno e raggrinzito, senza occhi e con inquietante ghigno. Si fermò a un
passo dal letto del politico e guardandolo dal vuoto delle sue orbite pronunciò
il suo nome in un freddo sussurro.
Bruno ebbe timore per la prima volta in vita sua e non
riuscì a proporre la sfida alla cupa mietitrice, ma dalla sua bocca uscì solo
un balbettio “t-t-t-ti p-p-prego.. la-lasciami i-in v-vita!”.
La nera signora non si mosse ma parlò in maniera decisa
“Sapevo che me lo avresti chiesto, misero omuncolo. Ebbene ti accontenterò, ma
non per farti restare ancora chiuso nella tua reggia circondato dall’oro,
ingrassandoti come un porco! Dovrai uscire e, girando per la città, dovrai
trovare una buona ragione da fornirmi per lasciarti vivere ancora. Se la
riterrò valida, allora ti concederò altro tempo su questa terra. Hai in tutto
ventiquattro ore… Buona fortuna, mortale!”
Detto ciò scomparve. Le luci nella stanza si riaccesero e
Bruno rimase per un attimo ancora tremante rannicchiato sul letto. “Trovare una
buona ragione.. ma l’oro, il denaro, il potere non sono ragioni abbastanza
valide?” si domandava il gufo. Dopo alcuni attimi, decise di vestirsi ed
uscire, in cerca della buona ragione da fornire alla Morte al suo ritorno.
Erano all’incirca le tre del mattino ed era gennaio: faceva
freddo.
Uscito dal suo palazzo, si diresse verso la stazione
centrale della città. Nel tragitto incontrò soltanto alcuni ragazzi ubriachi
che cantavano a squarciagola canzoni a lui ignote. “Che feccia! Sfaticati senza
speranze che finiranno falliti come i loro genitori! Bleah!” pensò il gufo
guardandoli con disprezzo, e continuò a camminare.
Arrivato alla stazione non trovò nessuno se non alcuni
senzatetto che cercavano riparo dal freddo sotto le tettoie laterali
dell’edificio. Si avvicinò verso di loro e li vide stesi e rannicchiati sotto
un pezzo di coperta scucita mentre tremavano tentando invano di vincere il
freddo. “Che ci fate qui? Non avete una casa dove andare?” urlò il gufo.
“No signore – rispose uno di loro - Siamo caduti in
disgrazia. Non abbiamo più un posto dove vivere.” “Ma da dove venite?” domandò
Bruno “Alcuni di noi sono di qui, altri sono stranieri, venuti in cerca di
fortuna da terre lontane, ma hanno trovato solo altra miseria e disperazione”
rispose un altro del gruppo, indicando alcuni barboni neri poco più in là,
anche loro rannicchiati in un angolo. “E quindi vivete così? In mezzo alla
strada?” “Sì, buonuomo, viviamo qui. Ogni tanto riusciamo a trovare rifugio in
alloggi di fortuna, e quando possiamo mangiamo alla caritas”. Il gufo aveva
sempre saputo dell’esistenza dei senzatetto, ma non si era mai trovato faccia a
faccia con loro, e li aveva sempre considerati feccia dell’umanità; ora invece,
ascoltando le loro storie e condividendo in parte la loro sofferenza, riusciva
finalmente a capire la sofferenza. Rimase con loro fino all’alba.
Una volta spuntato il Sole, li salutò augurandogli buona
fortuna per il futuro, ed allontanandosi si sentì cambiato.. Sentiva qualcosa
dentro che non aveva mai provato prima e che non riusciva a capire..
Con questa nuova sensazione nel cuore, dopo aver deciso di
cambiare zona per esplorare la città, scese le scale della metropolitana. Entrò
in un treno affollato, dove a malapena si respirava e sentì le proteste dei
pendolari, che lamentavano di essere stipati su carri bestiame come animali, di
non avere il minimo rispetto da parte dei governanti, e che non sopportavano
più questo tipo di vita. “Effettivamente – pensò il gufo – non riuscirei
nemmeno io a vivere così.. Ma come fanno delle persone a sopportare tutto questo?”,
e quindi lo domandò ai suoi compagni di viaggio. “Che vuole che le dica?
Abbiamo protestato, abbiamo manifestato, scritto lettere, bloccato i treni,
tentato di tutto, ma la situazione non è cambiata. I politici non ci ascoltano,
pensano solamente ai loro interessi. Noi cosa potevamo fare di più? Una rivolta
popolare? Abbiamo delle famiglie a cui pensare, dei figli da crescere, non
possiamo permetterci di perdere il lavoro, altrimenti finiremo in mezzo alla
strada!” rispose uno dei pendolari mentre gli altri annuivano. Il gufo allora
preferì non parlare più. Aveva capito anche la loro situazione, che sebbene
fosse migliore di quella dei barboni, era precaria e appesa un sottile filo che
si sarebbe potuto spezzare al prossimo licenziamento di massa.
Scese dal treno ad una stazione situata in periferia. Uscito
in superficie vide un gruppo di ragazzi intenti a picchiare un loro coetaneo.
Il gufo si avvicinò urlando “Basta! Smetterla! Lasciatelo stare, o chiamo la
polizia!”. Gli aggressori si spaventarono e fuggirono. Il gufo aiutò il ragazzo
a rialzarsi e gli chiese cosa avesse fatto per meritare un trattamento così
barbaro. Il giovane rispose “Signore.. vede.. io sono omosessuale, e in un
posto come questo non è una cosa vista di buon occhio. Devo sopportare ogni
giorno battute pesanti ed insulti, oltre ad essere malmenato da loro quando gli
gira male. Ma non picchiano soltanto me.. Ieri hanno aggredito una ragazza
romena, e l’altro ieri un ragazzo di colore. Disprezzano chi è diverso da loro,
persino gli anziani! Ed arrivano ad atti come questi molto spesso.. noi
“diversi” qui non abbiamo dignità.. spero solo di potermene andare lontano un
giorno..” e ringraziando il gufo per averlo aiutato se ne andò zoppicando.
L’anziano politico provò molta tristezza. Pensò che sarebbe potuto capitare
anche lui. Cosa avrebbe fatto in quel caso? Sarebbe morto sotto i colpi di un
gruppo di teppisti? E per la prima volta capì cosa fosse la dignità e il
rispetto per gli altri.
Allontanandosi dalla stazione, iniziò a camminare tra i
“casermoni” popolari. Era un paesaggio triste: enormi case si susseguivano
tutte uguali per un paio di chilometri. La natura sembrava aver abbandonato
quel posto: solo di tanto in tanto spuntava un albero, per giunta trasandato, e
sprazzi d’erba selvatica che spuntavano tra le mattonelle sconnesse dei
vialetti. I palazzi erano alti e grigi, di forma rettangolare. Camminò a lungo
tra le abitazioni. Sentiva un senso di ansia e tristezza crescergli dentro:
come si poteva vivere in un posto del genere che al solo passarci toglie la
gioia di vivere?
Nel suo peregrinare incontrò una signora anziana con una
bambina. Si avvicinò e chiese alla donna come poteva vivere in un posto del
genere. “Eh, che devo fare? La mia pensione è al minimo, non posso permettermi
una casa in un posto più centrale. Anche mia figlia vive qui vicino; lavora
molto perché è sola, non può permettersi una baby sitter e allora tengo io la
bambina durante il giorno. Mi fa piacere. Certo il posto qui è brutto, ma le
racconto favole per far sì che la sua mente evada da questo luogo e possa
distrarsi con la fantasia” così disse la donna, e, guardando il sorriso della
bambina abbracciata al ventre della nonna, al gufo scese una lacrima.
Era notte. Il gufo non riusciva a dormire. Attendeva, come
la notte precedente, la nera signora, che giunse puntuale alla stessa ora del
giorno prima, preceduta dal gelido vento.
“Allora, mortale, dimmi: hai trovato una buona ragione
affinché la tua vita continui ancora?” chiese la morte.
“A dir la verità sì, oscura presenza. Ho capito. Dopo tanti
anni di vita ho finalmente capito il mondo. Ho compreso cos’è la sofferenza
umana, cosa significa vivere di stenti, senza una speranza per il futuro. Ho
toccato con mano le difficoltà delle vite altrui, ho capito che con l’oro ed il
potere non si compra la felicità, ma che essa si può trovare anche solo nel
sorriso di un bambino. Da oggi per tutti i giorni che mi restano, anche se
saranno pochi, mi batterò tra i miei colleghi affinché comprendano anche loro
il modo giusto e corretto per governare, e dove e come il nostro intervento
possa rendere lieta la vita di altri esseri umani.”
In quel momento il gufo fu investito da una forte luce
bianca e, non appena riuscì ad aprire gli occhi, si trovò davanti una figura
angelica, che nulla aveva a che vedere con la ripugnante ed oscura signora di
prima. La splendida creatura parlò: “Io sono l’altro aspetto della morte: la
rinascita, il bianco, quello che scaturisce da ciò che prima era avvizzito. Tu,
Bruno, sei rinato. Il tuo lato meschino è defunto, sei una persona nuova. Sono
lieta che tu abbia finalmente compreso cosa significhi essere umani. È per
questo che ti ho concesso ancora del tempo, affinché tu capissi la sofferenza
altrui, e tu possa anche solo con un piccolo gesto, rendere migliore la vita
delle persone che governi. Non ti resta molto tempo, sei già vecchio, ma quel
poco che ti rimane, utilizzalo al meglio. Buona fortuna!”. Così dicendo la
morte scomparve in un lampo di luce bianca, lasciando solo il gufo.
Da quel giorno egli mise a disposizione i suoi averi per gli
altri, e combatté una dura battaglia nel governo affinché questo avesse a
maggior cura la vita umana più che gli interessi economici. E come era rinato
morì in un giorno dell’inverno successivo. Ed ora sulla sua tomba crescono
rigogliosi degli incantevoli fiori.
FeFe
"I gufi non sono quello che sembrano..."
RispondiEliminaAmico palesemente ti sei nascosto nell'ombra per giorni e giorni scrivendo questa storia e pubblicandola in ritardo...perchè hai prodotto un qualcosa di bbbellissimo! Bravo amicoammè! Mi stupisci con ogni nuovo racconto...presto sarò costretta ad ucciderti C:
RispondiEliminale due facce dei signori gufi! amico finalmente sei riuscito a scrivere contro le metro!
RispondiEliminanon ho scritto contro la metro, ma contro chi la gestisce! :)
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